Hilde Bruch, grande esperta di disturbi alimentari, ha osservato come l'eccessiva preoccupazione per il cibo ed il peso che si manifestano in pazienti anoressiche o bulimiche spesso sono la
manifestazione di un disturbo più profondo dell'identità. Secondo questa prospettiva, il disturbo spesso si manifesta in “brave bambine” che hanno trascorso la loro vita nel tentativo di compiacere i genitori; in quest’ottica i disturbi alimentari rappresenterebbero un tentativo estremo di trovare un’identità, finalizzato a conseguire, attraverso il controllo sul corpo, un senso di individualità, di potere e di amabilità personale.
Alcuni studiosi hanno individuato un vero e proprio contesto familiare nell’anoressia, caratterizzato dalla presenza di tratti perfezionistici o ipercritici e dall “invischiamento”, ovvero da una scarsa presenza di confini personali ed eccessiva dipendenza dove le opinioni personali e differenti vengono osteggiate. Spesso in queste famiglie vi è un'educazione molto critica ed omologante che non lascia spazio ad un autonomo permesso di esistere, all'accettazione di sè in quanto individuo unico ed irripetibile.
Compito del terapeuta, in questi casi è di distinguere nella mente della persona accolta l'essere dal fare, di dare il permesso di esistere e di avere un valore in maniera ontologica, intrinseca e autonoma rinunciando a dipendere da un Altro dominante che spesso delude o da un ideale di perfezione impossibile da percorrere.